LA PROCESSIONE DEL VENERDI’ SANTO A PRIVERNO
Fra cultura popolare, storia, tradizione e fede sincera, un evento di sempre
Vexilla Regis prodeunt; fulget Crucis misterium (Avanzano i vessilli del Re; rifulge il mistero di Cristo).
La sera del Venerdì Santo, durante la caratteristica Processione, queste parole (tratte dalla Liturgia del tempo di Passione) risuonavano nella mia mente, ma soprattutto nel mio cuore. Avanzavano davanti alle tantissime persone convenute dinanzi alla Cattedrale i vessilli del mistero di Cristo, i segni della sua gloria, anche se velata dal dolore della Passione.
È caratteristica questa Processione (in dialetto Perdissione) che ogni anno si svolge a Priverno quasi a suggello dei riti della Settimana Santa. Ci è stata tramandata così dal lontano Medioevo e si è svolta sempre per tutti questi anni, tolta una breve parentesi dovuta alla Seconda guerra mondiale. La struttura della Processione attuale si deve al compianto Mons. Emilio Pizzoni, Vescovo delle tre diocesi, che la rese più liturgica e soprattutto più sentita come fatto religioso. Vi pose mano perché, essendo questa un evento di popolo, poteva spesso sfociare in semplici espressioni che potevano alterare il senso di questa devozione, portando anche a disordini oltre che organizzativi pure di sicurezza. È una Processione che nel corso del tempo era stata voluta dal popolo, senza l’intervanto del clero né tantomeno di un professionista per quanto riguarda i canti. Solo per volontà di quel Vescovo si scrissero i testi dei canti popolari. Questo lavoro venne affidato all’organista della Cattedrale, Domenico Di Legge, autore di un volume nel quale li aveva raccolti, intitolato “Canti religiosi popolari, colti dalla voce di gente umile che così esprime i sentimenti della fede”. Questi fu autore anche dell’Agonia sulle Sette Parole di Gesù dalla croce, dell’inno alla Madre di Mezzagosto ...; e morì proprio la sera del Venerdì Santo di undici anni fa, durante la Processione che per tanto tempo aveva curato.
Il rituale è lo stesso da tempi immemorabili. Alle 20,30 in punto l’incensazione del Cristo morto (detto popolarmente, sulla scorta di una parola settecentesca, Cathalètto), mentre per qualche tempo pregano in silenzio dei penitenti di cui diremo più oltre. Si esce sotto il portico del Duomo e con questo gesto silenzioso e solenne si dà inizio alla Sacra Rappresentazione. Sono già disposte in semicerchio le macchine (quadri e statue) che rappresentano grossomodo tutte le stazioni più importanti della Via Crucis. Ognuna di queste macchine ha un canto portato avanti da un gruppo corale per ciascuna, il quale riproporrà lo stesso canto per quattordici fermate prestabilite. Sono l’Orto, la Flagellazione, la Caduta, la Veronica, il Calvario, l’Addolorata, la Pietà e il Cristo morto. Da qualche decennio ne sono state aggiunte di nuove: la Coronazione di spine e il Rinnegamento di Pietro. La Processione e la gestione delle Macchine sono curate dalle Confraternite (Buona morte, Madonna del Suffragio, Madonna della Stella, Sant’Antonio di Padova).
Ogni gruppo corale esegue il canto in piazza e poi nelle varie fermate. Il Cathaletto non ha un canto proprio ed è accompagnato dalla Banda musicale e dai canti popolari delle donne che immediatamente lo seguono.
Solo chi vi partecipa può intendere come sia meraviglioso ascoltare quei canti che si confondono fra di loro, quasi un unico inno a Dio Redentore, nel cuore della notte, nel silenzio rispettoso per la morte del Signore.
Un amore tutto particolare spinge a questi canti, un sentimento che spesso fa sorridere noi moderni, ma che tanto ha da insegnarci sulla devozione e l’amore verso nostro Signore. Abbiamo bisogno di ritornare a quella semplicità esaltata nel Regno dei cieli. La Processione percorre le vie del centro storico; e di tanto in tanto si ode uno stridore di catene. Sono quelle che trascinano, scalzi, quei penitenti che prima abbiamo nominati, detti in dialetto Sacconi. Che sia un retaggio del Medioevo? Sicuramente, ma queste persone, ignote a tutti, ci ricordano il senso di espiazione della sofferenza, unita al Sacrificio di redenzione di Cristo.
Intorno alla mezzanotte si è di nuovo in piazza, per un ultimo saluto a Gesù morto, un saluto all’insegna della speranza della risurrezione. Ci aiutano le parole del bell’inno composto dal Di Legge, Risorgerai, che tutti i cantori intonano all’unisono con la Banda. Un gesto particolarmente significativo: prima del suo rientro in Cattedrale il Cathaletto riceve un omaggio simbolico, ma altamente parlante. L’immagine di Maria Addolorata viene portata avanti, avanza come quel giorno lontano a Gerusalemme, tra la folla che riempie in ogni dove la nostra Piazza, e si inchina riverente al suo Figliuolo. Vedere questo gesto dall’alto della scalinata, visto da come lo vede lo scrivente, ti commuove.
Una devozione lunga secoli mai interrotta. Anche se ora è quasi eclissata dalle Sacre rappresentazioni che vanno facendosi nel circondario Lepino, ha ancora qualche cosa da dire all’uomo di oggi.
Ci parla della fede in un Dio morto e risorto per noi e dell’amore e la pietà devota che circondano la bara di Cristo morto, che fu prima testimone della sua gloriosa risurrezione.
Ci aiuti quello che viviamo ogni anno con devozione e sentita partecipazione a vivere conformi all’immagine di Cristo per partecipare alla sua gloria. Solo così i Vessilli regali che s’avanzano nella notte del mondo potranno risplendere dei bagliori radiosi, sfolgoranti ma non accecanti, del giorno della Risurrezione.
Emanuele Onifade
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